Una famosa canzone di cesare Cremonini recita: “Possibili scenari si contendono le nostre vite mentre noi le stiamo lì a guardare”. Già, diversi possibili scenari si contendo le nostre vite negli ultimi mesi, qualcosa di inaspettato ha cambiato i nostri progetti e il modo di organizzare le nostre giornate, qualcosa che avevamo solo studiato nei libri di storia o che credevamo possibile solo in alcune parti del mondo. Una pandemia, un virus, che forse neanche i migliori film sarebbero riusciti a descrivere così bene, ha stravolto i nostri piani. Tutti noi siamo stati costretti a mettere in “pausa” le nostre vite, ad isolarci e a stare lontani dai nostri cari, una pandemia che ha portato via molti nonni, molte persone care per di più anziane.
Di fatti la pandemia da COVID-19 è stata anche identificata come un emergenza sanitaria geriatrica, perché questo lockdown, attuato per bloccare i contagi, ha comportato proprio un isolamento sociale della popolazione e in particolare della popolazione anziana. Pertanto, forse, bisogna chiedersi: cosa accade nel nostro cervello quando siamo isolati, quando viviamo in situazioni emergenziali? Alcuni studi hanno evidenziano come la solitudine e la deprivazione sociale portano ad una riduzione del volume cerebrale dell’area ippocampale e ad atrofia in particolare nell’invecchiamento. Ci sono aree del nostro cervello, come ad esempio la parte anteriore dell’amigdala sinistra, ippocampo, giro paraippocampale, il cervelletto e i network esecutivi fronto-parietali che risultano essere coinvolte nell’elaborazione delle emozioni, delle abilità sociali e delle strategie di ricerca di soluzioni in condizioni di isolamento. Con l’avanzare dell’età le cortecce prefrontali e le strutture ippocampali sono le prime aree che invecchiano rispetto alle altre e di conseguenza presentano atrofia, e la solitudine e l’isolamento forse non potrebbero fare altro che peggiorare il declino cognitivo. Questo può comportare un peggioramento delle nostre abilità, come ad esempio delle nostre abilità di memoria e la nostra abilità di risolvere problemi con delle strategie appropriate. Ricerche recenti, che si sono occupate di studiare le popolazioni che erano state colpite da terremoti ed uragani, hanno evidenziato un peggioramento dei sintomi e dei deficit cognitivi nella popolazione anziana e in particolare nelle persone affette da demenza dopo questi eventi. Prima della pandemia si era previsto che nel 2020 le persone che avrebbero sviluppato demenza sarebbero state oltre 48 milioni, per un totale di 81 milioni di casi nei vent’anni successivi. Alla luce di quanto però accaduto negli ultimi mesi ci si pone degli interrogativi: cosa dobbiamo aspettarci? Quali potrebbero essere i risvolti in ambito neuropsicologico e geriatrico dell’isolamento? Questi numeri potrebbero aumentare? Quante persone potrebbero sviluppare una demenza nei prossimi anni? Cosa possiamo fare per evitare tutto questo?
La risposta per quanto apparentemente semplicistica porta in una direzione: fare prevenzione. Quando parliamo di prevenzione possiamo riferirci all’introduzione più capillare in ambito sanitario di valutazioni neuropsicologiche per lo screening del funzionamento cognitivo. Lo screening neuropsicologico, in particolare dopo i 50 anni di età, potrebbe essere un primo passo per una diagnosi precoce e per evidenziare eventuali deficit, e alla luce degli ultimi avvenimenti che ci hanno coinvolti, capire cosa questa situazione emergenziale potrebbe aver causato.
Ma quando parliamo di valutazione neuropsicologica ci riferiamo ad un esame non invasivo, che comprende la somministrazione di alcuni test, con l’utilizzo di carta e matita, atti a valutare le nostre abilità cognitive, ovvero le nostre abilità di memoria, la nostra abilità di risolvere problemi, di linguaggio, attenzione e così via. Uno screening neuropsicologico riesce a quantificare l’efficienza del nostro cervello, quanto esso è efficiente nel svolgere il suo lavoro. Nell’arco della nostra vita le nostre abilità si modificano, cambiano e questo dipende da tanti fattori, come ad esempio il nostro lavoro, i nostri hobby, le esperienze di vita, il percorso di studi che abbiamo intrapreso. Ognuno di questi fattori dà il suo contributo. Dobbiamo considerare solo il lato negativo in questa vicenda? No, c’è una cosa che, invece abbiamo imparato in questi mesi, che la tecnologia, i social e le videochiamate hanno dato il loro notevole contributo nel farci sentire meno soli e lontani dal mondo e che forse sviluppare servizi assistenziali “ageing friendly” potrebbe aiutare la fascia della popolazione più colpita, ovvero quella anziana.
E la neuropsicologia, invece, come potrebbe aiutarci, come possiamo aiutare il nostro cervello avvalendoci del suo contributo? La neuropsicologia non solo si occupa di valutare le nostre abilità, ma di strutturare dei training con esercizi adatti per migliorare le nostre abilità e le nostre strategie comportamentali e nell’invecchiamento assumono un ruolo fondamentale per prevenire la demenza. Nel frattempo, per iniziare, possiamo comunque tenerci in allenamento con una bella settimana enigmistica.
Bibliografia
Greenberg, N. E., Wallick, A., & Brown, L. M. (2020). Impact of COVID-19 pandemic restrictions on community-dwelling caregivers and persons with dementia. Psychological Trauma: Theory, Research, Practice, and Policy, 12(S1), S220-S221.
Rafnsson, S.B., Orrell, M., d’Orsi, E., Hogervorst, E., Steptoe, A., (2017). Loneliness, social integration, and incident dementia over 6 years: prospective findings from the English longitudinal study of ageing. Journals of Gerontology: Social Sciences, Vol. 00, No. 00, 1–11.