“Ricordare è un dovere: essi non vogliono dimenticare, e soprattutto non vogliono che il mondo dimentichi, perché hanno capito che la loro esperienza non è stata priva di senso, e che i Lager non sono stati un incidente, un imprevisto della storia.”
Nel parlare di memoria e il ruolo che essa ha nella narrazione, soprattutto storica, non possiamo non pensare a Primo Levi. Nelle sue opere, l’autobiografia e la memoria come narrazione sono il filo conduttore di tutta la sua poetica, con due temi cardine apparentemente in antitesi: da un lato il ricordo, necessario, doloroso e catartico, dall’altra l’oblio, il dimenticare, il tacere per superare il dolore e andare avanti. Ciò che distingue questi due binomi è l’atto di volontà: non si vuole dimenticare e non si vuole che il mondo dimentichi.
“La Repubblica italiana riconosce il giorno 27 gennaio, data dell’abbattimento dei cancelli di Auschwitz, “Giorno della Memoria”, al fine di ricordare la Shoah (sterminio del popolo ebraico), le leggi razziali, la persecuzione italiana dei cittadini ebrei, gli italiani che hanno subìto la deportazione, la prigionia, la morte, nonché coloro che, anche in campi e schieramenti diversi, si sono opposti al progetto di sterminio, ed a rischio della propria vita hanno salvato altre vite e protetto i perseguitati.”
Il Giorno della “Memoria” non è un processo politico, un dibattito morale o una mera retorica delle minoranze: è un simbolo, una sineddoche della memoria storica, del ruolo del ricordo nel cammino dell’umanità e nella costruzione di un’identità collettiva volta al progresso della società e alla custodia e difesa dei diritti fondamentali dell’uomo. È il simbolo di come il ricordare sia necessario: per dare senso e per costruire ciò che saremo.
Mi sono sempre chiesta infatti, occupandomi di memoria, perché ricordiamo. So come ricordiamo. Quali sono i processi neurologici e psicologici che sottendono un ricordo, la sua formazione, il suo recupero. So cosa ricordiamo. Quali sono i ricordi più imprimibili, quelli meno. So che la memoria ci aiuta a conoscere il mondo, le parole e il senso di ciò che ci circonda. So che ci permette di fare calcoli, segnare un numero di telefono mentre ci viene dettato e di terminare un discorso mentre pronunciamo le parole che lo compongono. Ma perché ricordiamo? Perché, noi umani siamo fatti per ricordare? Perché l’oblio ci sembra quasi un nettare da cui rigenerarci dopo una delusione amorosa o un lutto importante e al tempo stesso ci appare come una condanna a diventare tra “color che son sospesi”, senza identità e capacità di riconoscere chi amiamo, come qualsiasi persona che abbia conosciuto l’Alzheimer può riferire?
Ricordiamo perché siamo condannati ad essere infelici. O almeno questo è ciò che direbbe Nietzsche. L’animale è felice perché è in grado di dimenticare, mentre l’uomo è perennemente proiettato al passato. Questo è in parte sicuramente vero. La memoria ci permette di ricostruire il passato. In particolare una componente del nostro sistema di memoria, la memoria autobiografica ha un ruolo fondamentale nel tessere il passato in una costruzione di significato che contribuisce a definire ciò che siamo. La memoria autobiografica è l’integrazione di due sistemi di memoria: la memoria episodica, costuituita dai ricordi di eventi passati definiti da una dimensione spazio-temporale precisa e la memoria semantica, portatrice di contenuti, significati e conoscenze, che oltre a contribuire a rendere la memoria autobiografica stabile e ricorrente, ne attribuisce anche significato attraverso i ricordi episodici. Gli eventi che compongono la nostra memoria possono riguardare poi sia noi direttamentie (episodi personali) sia dei fatti storici avvenuti (episodi non personali).
Possiamo dunque tranquillamente immaginare la nostra vita come un libro. Ogni giorno contribuiamo a scriverne una parte e i nostri ricordi sono le pagine che lo compongono. Possiamo rileggere questi ricordi quando vogliamo, ma a volte nel processo di reminiscenza troviamo degli spazi o delle pagine bianche. Ricordare permette di contribuire a riscrivere parti che non sono state scritte in una narrazione coerente di ciò che siamo.
Ma la memoria non è solo passato. Alcuni studi di Schachter mostrano chiaramente come, la stessa attività cerebrale sottostante il processo di ricordo episodico si attiva anche quando ci viene chiesto di immaginare situazioni future. Anche se possiamo pensare all’ episodic future thinking, letteralmente il pensare ad episodi futuri, come frutto della nostra immaginazione ex nihilo , questi hanno una solida base nei nostri ricordi ed esperienze passate. Non ricordiamo solo per sapere ciò che siamo. Ricordiamo per sapere ciò che saremo.
Insomma, non si tratta solo di una ricorrenza celebrativa. Il Giorno della Memoria ci riguarda tutti.
Per capire chi siamo stati. E chi saremo.
Per saperne di più:
Pascale Piolino , Béatrice Desgranges , Karim Benali & Francis Eustache(2002) Episodic and semantic remote autobiographical memory in ageing, Memory, 10:4, 239-257
Prosenc, I. (2018). La narrazione della memoria nell’opera di Primo Levi. Ars & Humanitas, 12(2), 203.
Schacter, D., Addis, D. & Buckner, R. Remembering the past to imagine the future: the prospective brain. Nat Rev Neurosci 8, 657–661 (2007).