RICORDI IN CHIAVE Come la musica protegge la memoria

Articolo a cura di Martina Cangelosi.

Dottoressa in Psicologia e Dottoranda in Psychology, Neuroscience and Data Science presso l’Università degli Studi di Pavia. Fulcro della sua ricerca è la relazione tra memoria semantica e linguaggi, con la componente emotiva come mediatore di questa relazione.

È ormai risaputo che la musica non sia soltanto un mezzo per intrattenere, per confortare, far sognare e per accompagnare stralci più o meno significativi delle nostre vite: il suo potere è curativo e largamente impiegato per scopi terapeutici o di prevenzione, come dimostrato nell’ambito della psicologia dell’invecchiamento. L’incedere dell’età comporta dei cambiamenti nel sistema cognitivo umano; la memoria, in particolare, subisce un progressivo decadimento: ci sono situazioni in cui questo declino è drastico e patologico, come avviene nel caso del Morbo di Alzheimer; anche l’invecchiamento cosiddetto “sano”, tuttavia, non ne è – seppur in misura minore – esente. La musica può proteggere la memoria dal fisiologico declino a cui si va incontro nell’età anziana.

Come?

Ascoltandola.

Bottiroli e colleghi (2014) hanno verificato se e come cambino alcune abilità cognitive negli anziani in presenza di diversi tipi musica di sottofondo, a confronto con una condizione senza musica e con una condizione in cui al posto della musica si faceva sentire del rumore bianco: i risultati migliori in compiti di memoria sono stati trovati nel caso della musica di sottofondo rispetto alle altre due condizioni e a dispetto del tipo di musica presentata. Il motivo di tale miglioramento viene ricondotto alla comprovata capacità della musica di evocare emozioni in chi la ascolta e al fatto che le emozioni siano in grado di facilitare i processi di memorizzazione; inoltre – evidenziano gli autori – l’ascolto della musica attiva il sistema limbico, area cerebrale coinvolta sia nei processi emotivi che in quelli implicati nella memoria.

Avendola praticata.

In una revisione condotta nel 2018, Schneider, Hunter e Bardach hanno selezionato 11 articoli in cui si è indagato il rapporto tra la pratica musicale e le abilità cognitive durante l’età anziana; tutti gli studi hanno confrontato gruppi di musicisti con gruppi di non musicisti e riscontrato come i primi mostrino risultati migliori in prove di memoria: più nel dettaglio, oggetto di indagine sono stati i risultati in compiti di memoria verbale, non verbale, a lungo termine e a breve termine. Il vantaggio osservato nei musicisti in tutti i sopracitati domini riguarda, in particolare, una maggiore velocità nei compiti svolti e/o una maggiore accuratezza e precisione negli stessi. Da questi dati appare evidente come una pratica musicale protratta nel corso della propria vita porti dei vantaggi in termini di memoria, sebbene l’essere o meno musicista non possa venire ricondotto a un sistema binario e sebbene resti da chiarire quanti anni di pratica occorrano per evidenziare tali benefici e a quale frequenza. Sorprendentemente, effetti positivi apportati dal fare musica sono stati trovati anche in persone che hanno suonato intensamente nella prima parte della propria vita a più di quarant’anni di distanza dall’interruzione della propria pratica musicale! (White-Schwock et al., 2013)

Praticandola.

Anche se non pensate di rientrare nella categoria “musicisti”, se non avete intrapreso da bambini un percorso musicale, se non ne avete fatto una passione duratura o una professione, non temete! È stato riscontrato come l’esposizione a training musicali nell’invecchiamento possa condurre a miglioramenti nella memoria anche per chi si accostasse per la prima volta alla musica. Sebbene le ricerche sul tema siano ancora esigue, i risultati provenienti da alcuni training di improvvisazione musicale o di pianoforte sembrano promettenti (e.g. Roman-Caballero et al., 2013). Sia nel caso di una pratica di lunga data, che nel caso di una pratica costante, ma concentrata in un arco di tempo più circoscritto, il motivo dei miglioramenti identificati risiede nelle abilità necessarie per suonare uno strumento: processamento uditivo, abilità linguistiche e visuo-spaziali, abilità sensoriali e motorie, attenzione, capacità di inibire informazioni irrilevanti, di passare da un compito all’altro e di memorizzare sono alcune delle componenti coinvolte nell’attività musicale. Non solo tali componenti vengono singolarmente sollecitate e allenate mentre si suona: esse si integrano, contribuendo l’una alla migliore efficienza dell’altra e, in più, possono agire su ulteriori aspetti non direttamente coinvolti nel suonare come, ad esempio, l’estensione dei benefici nell’elaborazione uditiva all’elaborazione delle informazioni linguistiche.

Una volta di più, per concludere, non ci si può esimere dal considerare la componente emotiva, così profondamente connessa alla memoria e così in grado di determinare il destino di tanta parte dei nostri ricordi: non solo l’ascolto, ma anche la pratica si tingono di emozione.

Bibliografia.

Bottiroli, S., Rosi, A., Russo, R., Vecchi, T., & Cavallini, E. (2014). The cognitive effects of listening to background music on older adults: processing speed improves with upbeat music, while memory seems to benefit from both upbeat and downbeat music. Frontiers in Aging Neuroscience, 6. https://doi.org/10.3389/fnagi.2014.00284

Roma ́n-Caballero R, Arnedo M, Triviño M, Lupia ́ñez J (2018). Musical practice as an enhancer of cognitive function in healthy aging – A systematic review and meta-analysis. PLoS ONE 13. https://doi.org/10.1371/journal. pone.0207957

Schneider, C. E., Hunter, E. G., & Bardach, S. H. (2018). Potential Cognitive Benefits From Playing Music Among Cognitively Intact Older Adults: A Scoping Review. Journal of Applied Gerontology, 38, 1763–1783. https://doi.org/10.1177/0733464817751198

White-Schwoch, T., Carr, K. W., Anderson, S., Strait, D. L., & Kraus, N. (2013). Older Adults Benefit from Music Training Early in Life: Biological Evidence for Long-Term Training-Driven Plasticity. Journal of Neuroscience33, 17667–17674. https://doi.org/10.1523/jneurosci.2560-13.2013

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