Articolo a cura di Alessio Facchin. Psicologo e Optometrista. Attualmente all’Università di Milano-Bicocca. Nei suoi lavori di ricerca si occupa principalmente di visione a 360°, dall’acuità visiva alla riabilitazione neuropsicologica.
Il sistema visivo umano, quindi l’insieme di occhio e cervello, si è sviluppato per essere sensibile non tanto alla luce e al buio in sé, ma ai cambiamenti di illuminazione presenti in un’immagine che giunge agli occhi. È infatti possibile percepire la stessa immagine, ad esempio una fotografia in bianco e nero, sia che essa sia colpita da un’intensa luce, come quando essa è al sole, oppure quando la stessa immagine è illuminata da una debole luce, come quella di una candela.
In altre parole, il sistema visivo tende ad amplificare le piccole variazioni di luminosità adiacenti, presenti in un punto di un immagine, indipendentemente dalla luminosità assoluta che l’immagine potrebbe avere. Nella percezione visiva entrano in gioco diverse discipline, a partire dalla fisica della radiazione luminosa, intesa come l’intensità luminosa effettiva dei singoli punti dell’immagine, ma soprattutto componenti fisiologiche, ovvero come è formato il nostro l’occhio e il sistema cerebrale visivo, ed è proprio la sua struttura che permette di percepire le differenze di luminosità di un immagine. Le componenti del sistema nervoso, fondamentali, per attivare questo sono le CELLULE GANGLIARI.
Ma come ogni cosa dobbiamo partire dall’inizio. Il nostro cervello è come una centralina elettrica e di conseguenza lavora mediante impulsi, connessioni e collegamenti. Anche l’informazione visiva segue questo percorso.
Il primo passo dell’informazione visiva avviene nella retina dell’occhio, nella quale abbiamo i FOTORECETTORI, che trasformano la luce in un segnale nervoso. I fotorecettori potremmo definirli come i singoli “pixel” dell’immagine visiva. Da soli però catturano l’intensità della luce, ma non sono bravi nel comparare diverse intensità di luce, cioè differenti livelli di grigio, bianco o nero, ciò che costituisce in effetti la cosiddetta sensibilità al contrasto. Il contrasto è massimo quando c’è bianco e nero ed è minore tanto più le intensità di grigio sono simili. La principale elaborazione del contrasto avviene nell’occhio, nello specifico nel tessuto retinico che in effetti è un tessuto nervoso a tutti gli effetti. Poi l’informazione visiva per essere elaborata arriva al talamo (una stazione intermedia) e infine alla corteccia visiva.
Torniamo ora alla retina, se non nei fotorecettori, in uno stadio successivo, entrano in gioco le CELLULE GANGLIARI che proprio loro permettono la percezione del contrasto tra due punti vicini di un immagine.
Nello specifico che succede in queste cellule gangliari? Per capirlo dobbiamo scendere al livello del segnale nervoso, considerando i POTENZIALI D’AZIONE. Il potenziale di azione, in breve è il segnale che le cellule usano per trasferire l’informazione da una cellula ad un’altra. Questo segnale può essere MODULATO cioè può essere modificato da alcune cellule in modo da essere in un certo senso amplificato o ridotto.
Le cellule gangliari raccolgono le informazioni da un certo numero di fotorecettori con una struttura che si può pensare come un mazzo di fiori. Un cerchio di fotorecettori fanno capo a una singola cellula gangliare. Solo che non tutti i fiori, i fotorecettori si raccolgono insieme, l’organizzazione è una sorta di “ ciambella”. Alcuni recettori faranno parte del cosiddetto centro del campo recettivo (il buco della ciambella) e altri della periferia del campo recettivo, cioè della ciambella stessa, dove possiamo colare la glassa di cioccolato, per intenderci. Quindi una cellula gangliare avrà un organizzazione cosiddetta centro-periferia e la sua risposta cambierà a seconda se la luce colpisce il centro del campo recettivo, cioè il buco della ciambella, oppure la periferia del campo recettivo, cioè la ciambella stessa, senza colpire il buco.
La risposta di queste cellule sarà massima quando il centro (i.e. il buco della ciambella) sarà illuminato e la periferia sarà al buio) o viceversa. In altri termini, queste cellule rispondono bene se si illumina solo il buco oppure se si illumina solo la ciambella, a seconda del tipo di cellula, e la risposta sarà bassa quando sarà tutto illuminato o tutto buio.
Quindi, quando un la luce colpisce in parte il centro o la periferia del campo recettivo di una cellula ganglionare, essa aumenterà la sua risposta e quindi le piccole differenze di luminosità di un punto di un immagine saranno amplificate. Quindi il livello di luminosità percepito di un punto di un’immagine, dipende da ciò che circonda il punto dell’immagine stessa. Possiamo farci un’idea guardando l’immagine seguente. Nell’immagine il grigio nei quadrati centrali è identico, ma appare più scuro nel riquadro a sinistra e chiaro in quello più a destra. Le cellule gangliari amplificano la differenza tra la zona centrale e ciò che sta intorno.

Questo è uno dei tanti meccanismi che permette di percepire il mondo come lo percepiamo, non come realtà oggettiva, ma filtrato e modificato dal sistema percettivo.
Ma quante sfumature di grigio può percepire il sistema visivo umano. Non c’è ovviamente una risposta assoluta, ma sono sicuramente più di cinquanta.
Riferimenti bibliografici
Bear, M. F., Connors, B. W., & Paradiso, M. A. (2007). Neuroscienze. Esplorando il cervello. Elsevier.
Purghé, F., Stucchi, N., & Olivero, A. (Eds.). (1999). La percezione visiva. UTET università.
Pelli, D. G., & Bex, P. (2013). Measuring contrast sensitivity. Vision research, 90, 10-14.