Effetto placebo ed esperienza soggettiva del dolore

A cura di Matteo Girondini , dottorando di ricerca dell’Università degli Studi di Milano, nei suoi studi si occupa di effetto placebo.

Tra i fenomeni clinici che da sempre hanno affascinato lo studio dell’uomo troviamo, senza dubbio, l’effetto placebo. Dare una definizione di questo meccanismo biologico non è affatto semplice, in quanto al suo interno rientrano diversi fattori, come quelli prettamente neurochimici, a variabili contestuali in cui avviene un trattamento o un’esperienza soggettiva. Ma se ne volessimo trovare un fattore trasversale che li accomuna tutti , potremmo dire che esso può essere la presenza di un’efficacia terapeutica e di un cambiamento clinico nel paziente in mancanza del presupposto farmacologico, a cui di solito sono dovuti.

Uno dei campi di ricerca in cui l’effetto placebo è stato approfonditamente studiato è quello dell’esperienza soggettiva del dolore, e, in particolare, alla sua modulazione (in gergo scientifico “analgesia”). Se pensiamo ad uno stimolo doloroso percepito dal nostro corpo (i.e. noto come stimolo nocicettivo), uno dei criteri che riteniamo fondamentali per determinare quanto esso sia spiacevole, è legata all’intensità che esercita sui recettori sensoriali (in termini di pressione, temperatura, ect) della nostra cute. In realtà, nonostante la variabilità soggettiva nella percezione del dolore, è stato dimostrato come la credenza e le aspettative che si celano dietro un’esperienza nocicettiva comune (i.e. uno stimolo ad alta temperatura sulla nostra pelle), sia in grado di aumentare, o diminuire, il livello di dolore percepito. Questa modulazione è in grado di incrementare la soglia di tolleranza soggettiva del dolore stesso.

In un interessante studio di Wagner del 2004, a 39 partecipanti alla ricerca, suddivisi in 2 gruppi, veniva somministrato uno stimolo nocicettivo doloroso (laser termico) sulla mano dopo l’applicazione di una crema gel. Al gruppo sperimentale veniva riferito che il gel applicato sulla cute era un nuovo farmaco analgesico per la modulazione del dolore, mentre al gruppo di controllo era riferito che la crema era semplice vasellina. In realtà, in entrambi i gruppi era stata somministrato lo stesso prodotto (vasellina), inefficace rispetto al laser che veniva utilizzato per indurre dolore. I risultati dei partecipanti però hanno dimostrato una netta differenza nel dolore riportato, esso era significativamente più lieve e tollerabile nei soggetti a cui era stato riferito che il gel fosse in grado di modulare il calore termico del laser.

Quella che può sembrare una semplice e banale suggestione verbale nasconde una realtà più complessa e ancora non conosciuta del tutto, ovvero connessa ai circuiti endogeni (o, in altre parole, interni) di modulazione del dolore. Anche da un punto di vista biologico, l’effetto placebo è stato correlato all’attivazione di una complessa rete neurale presente nella corteccia (Corteccia Prefrontale Dorsolaterale, Corteccia Cingolata Anteriore) che creano connessioni con la sostanza grigia periacquedottale (PAG), una particolare area che funge da snodo rispetto agli stimoli sensoriali e nocicettivi in entrata dalla periferia del nostro corpo. Non ci sorprende quindi l’ipotesi che la convinzione indotta da una suggestione verbale (elaborata in corteccia dalle aree superiori) sia in grado di modulare l’informazione dolorosa trasmessa dai recettori della nostra cute, determinando una ridotta percezione del dolore, nonostante l’esperienza fisica fosse stata la stessa.

Un esempio leggermente diverso di effetto placebo, questa volta proveniente da studi clinici, è stato trovato in pazienti con malattia di Parkinson (Pollo, et al., 2002). In questo caso, ai pazienti veniva riferito verbalmente che sarebbe stato somministrato un nuovo farmaco anti-parkinsoniano in grado di migliorare la loro performance motoria della loro mano. In una condizione, venivano influenzati positivamente riguardo le aspettative sulla modulazione della performance motoria, mentre nella seconda condizione venivano elicitate delle aspettative negative sul farmaco in questione. I risultati hanno dimostrato come questo condizionamento verbale non solo fosse in grado di influenzare l’esito motorio della mano a seguito dell’intervento, ma anche l’attivazione del circuito dopaminergico del cervello misurato attraverso apposite indagini strumentali di carattere neuroscientifico.

Concludendo, l’effetto placebo risulta essere un fenomeno tanto misterioso, quanto estremamente radicato nelle possibilità biologiche dell’essere umano, non ancora pienamente compresa dalla conoscenza scientifica del momento. Ad oggi ulteriori studi si stanno interessando a questo argomento, sperando, in tempi non troppo lontani, di comprendere a pieno questo affascinante meccanismo.

Bibiografia

  • Harrington, A. (Ed.). (1999). The placebo effect: An interdisciplinary exploration (Vol. 8). Harvard University Press.
  • Wager, T. D., Matre, D., & Casey, K. L. (2006). Placebo effects in laser-evoked pain potentials. Brain, behavior, and immunity20(3), 219-230.
  • Pollo, A., Torre, E., Lopiano, L., Rizzone, M., Lanotte, M., Cavanna, A., … & Benedetti, F. (2002). Expectation modulates the response to subthalamic nucleus stimulation in Parkinsonian patients. Neuroreport13(11), 1383-1386.

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