È l’ora della sostenibilità! Riduciamo la distanza psicologica tra noi e il cambiamento climatico

Sempre più frequentemente sentiamo parlare dei rischi che il cambiamento climatico comporta per l’umanità intera, per la biodiversità e per l’equilibrio del nostro pianeta. La comunità scientifica internazionale ha affermato a più riprese e con crescente certezza che il cambiamento climatico ha tra le sue principali cause l’attività umana. Eppure, molte persone sono ancora restie ad impegnarsi per limitarne i danni. In questo articolo non entreremo nelle ragioni politiche e sociali che spingono ad ignorare il cambiamento climatico, per quanto di forte interesse, piuttosto cercheremo di comprendere uno dei molti processi psicologici implicati: la distanza psicologica.

Possiamo definire il cambiamento climatico una delle sfide più complesse che l’umanità si sia mai trovata ad affrontare. E non è solo una sfida “ambientale”, ma anche una sfida psicologica. I ricercatori hanno identificato alcune strategie efficaci nel sensibilizzare i singoli e la collettività a impegnarsi per uno stile di vita sostenibile. Per esempio, hanno dimostrato l’efficacia di fare appello al senso di responsabilità dell’uomo come creatura “superiore”, la quale deve per sua natura prendersi cura del pianeta.

Esiste però un ostacolo che talvolta mette loro i bastoni fra le ruote: la distanza psicologica. La distanza psicologica è quella sensazione di distanziamento da un oggetto (i.e., il cambiamento climatico) che spinge l’individuo a ignorare o sottovalutare le conseguenze (es., surriscaldamento terrestre) di eventi che appaiono incontrollabili e inosservabili (es., emissione di gas a effetto serra). La distanza psicologica da un oggetto è aumentata quando questo riguarda qualcuno che è fisicamente distante e diverso da noi, quando il suo impatto è localizzato in là nel tempo, e quando le sue cause e le sue conseguenze sono percepite come incerte. Secondo la Construal Level Theory, se un oggetto è percepito come distante è definito con termini più astratti, decontestualizzati e generalizzati. La ricerca ci insegna che un problema inquadrato come tale è considerato difficilmente risolvibile.

Se consideriamo che le conseguenze più drammatiche del cambiamento climatico si vedono principalmente nei paesi più distanti da noi, come l’Africa o l’Artide (es., avanzamento dei deserti o scioglimento dei ghiacciai), ci accorgiamo che la maggior parte degli individui del mondo non le vive sulla propria pelle . Inoltre, anche qualora cambiassimo radicalmente stile di vita e sospendessimo le attività dannose all’ambiente, le conseguenze benefiche si rifletterebbero sulle future generazioni. Una ricompensa ritardata nel tempo, per quanto possa essere gratificante, è spesso percepita come mutevole e imprevedibile. E, per finire, la comunicazione riguardante i rischi del cambiamento climatico assume spesso una fattura scientifica, un linguaggio complesso, difficilmente arrivabile da chi non è del settore. Questo contribuisce all’incertezza e alla confusione. Come potete notare, c’è un certo livello di astrattezza che caratterizza la questione e che impedisce una facile lettura della relazione tra comportamento presente e benessere/malessere futuro. Il tutto contribuisce da una parte all’inazione e dall’altra alla deresponsabilizzazione.

L’Orangutan è una della specie a maggior rischio di estinzione, con una popolazione complessiva che è diminuita del 50% negli ultimi anni. Vive principalmente nell’Isola di Sumatra e nel Borneo. La sua vita è minacciata in primis dall’attività umana che distrugge il suo habitat per far spazio a coltivazioni di palme. L’estinzione dell’orangutan sarebbe solo una delle molte conseguenze che deriverebbero dalla distruzione delle foreste tropicali. Fare appello all’empatia dell’uomo verso gli animali potrebbe aiutare a sensibilizzare ai temi annessi, tra cui il cambiamento climatico che è fortemente influenzato dalla deforestazione intensiva.
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La ricerca in psicologia ci ha fortunatamente donato alcune soluzioni per ridurre la distanza psicologica tra cambiamento climatico e individuo. Queste hanno come obiettivo l’aumento della concretezza dei danni causati dall’attività umana, dimodoché diventi un problema con cui fare i conti quotidianamente e su cui si abbia un certo margine di controllo. È stato proposto, per esempio, di fare appello all’empatia dell’essere umano per altre specie viventi che sono a rischio di estinzione per fattori legati all’uomo. Il contributo “concretizzante” dell’empatia permetterebbe alle persone di avvicinarsi al tema del cambiamento degli ecosistemi dovuto allo sfruttamento incontrollato delle risorse. Per esempio, il Mediterraneo è un mare ricco di diversità che a causa dell’aumento della temperatura a seguito del surriscaldamento globale (+2°C) rischia di perderne almeno il 30%. Le tartarughe, i cetacei, e i tonni sono già a rischio estremo. Oppure, come ci insegna il report del WWF redatto nel 2020, circa il 52% della fauna italiana è in uno stato di conservazione sfavorevole: tra le cause principali vi è l’uso intensivo delle risorse ambientali.

Alternativamente, il futuro a noi avverso potrebbe divenire più tangibile facendo leva sull’altruismo umano nei confronti della prole. Se non fermiamo da subito il declino ambientale, i nostri figli avranno in dono un pianeta irrecuperabile in cui vivranno con estrema difficoltà. Ciò porterebbe alcuni a percepire la minaccia come più realistica e ad impegnarsi per il bene dei futuri abitanti di questa terra.

Per finire, uno dei limiti della comunicazione sul cambiamento climatico è la difficoltà dei temi trattati, la quale crea distacco, rifiuto e scetticismo. Per ovviare al problema, le associazioni/istituzioni dovrebbero farsi carico dell’organizzazione di iniziative sul territorio che possano coinvolgere adulti e bambini con lo scopo di istruire sul tema con un linguaggio semplice e diretto. Mescolando l’utile al dilettevole, si potrebbe aumentare la concretezza dell’argomento affiancandolo ad attività e giochi di facile esecuzione e comprensione. Oltretutto, l’aumento della sincronia tra individuo e comunità gioverebbe alla messa in pratica di azioni benefiche per la collettività intera. Chi si sente più in sintonia con il proprio territorio partecipa più attivamente alle iniziative volte alla sua preservazione.

Fridays for Future, Milano, 15 Marzo 2019. Tre generazioni si sono riversate nelle strade per chiedere una risposta concreta.
© Matteo Masi

Questi interventi psicologici potrebbero risultare più o meno efficaci a seconda della fertilità del contesto in cui vengono impiegati. Le iniziative collettive pongono le basi per alimentare la discussione intorno al tema favorendo la presa di coscienza del problema sia ai singoli che alle masse; senza discussione pubblica non ci sarebbe la spinta essenziale per un cambiamento del comportamento in positivo. In tempi recenti alcuni movimenti sociali si sono impegnati in azioni dal forte impatto visivo con l’obiettivo di rimarcare la concretezza del cambiamento climatico. Pensiamo ai Fridays for Future, che hanno avuto il merito di far risvegliare un principio di coscienza ambientalista che sembrava sopita o peggio inesistente, con il forte coinvolgimento dei più giovani ma non solo. L’obiettivo delle manifestazioni era attirare l’attenzione delle istituzioni, ma anche di chi stava seduto sul divano a guardare il telegiornale, che nella sua assenza era chiamato ad una riflessione sulle proprie abitudini. Congiuntamente, le istituzioni sovranazionali hanno intrapreso percorsi comuni con l’obiettivo di ridurre gli effetti devastanti del cambiamento climatico agendo direttamente sulle sue cause. Per esempio, l’Accordo di Parigi, stipulato tra alcuni dei paesi più industrializzati (e più inquinanti) del mondo , pone obiettivi concreti e a lungo termine di controllo del surriscaldamento globale. In ultimo, vale la pena menzionare che nei paesi ONU – e quindi anche in Italia – il percorso scolastico comune denominato Agenda 2030 dona parte del suo programma trasversale alla sostenibilità e alla giustizia ambientale. Queste iniziative, prese tutte insieme, fanno ben sperare nelle generazioni di domani, nella speranza che la distanza tra noi e una vita più sostenibile sia colmata prima che sia troppo tardi.

Riferimenti

Huckelba, A. L., & Van Lange, P. A. (2020). The Silent Killer: Consequences of Climate Change and How to Survive Past the Year 2050. Sustainability12(9), 3757.

Jones, C., Hine, D. W., & Marks, A. D. (2017). The future is now: Reducing psychological distance to increase public engagement with climate change. Risk Analysis37(2), 331-341.

Koger, S. M., Leslie, K. E., & Hayes, E. D. (2011). Climate change: Psychological solutions and strategies for change. Ecopsychology3(4), 227-235.

Van Lange, P. A., & Huckelba, A. L. (2021, in press). Psychological Distance: How to Make Climate Change Less Abstract and Closer to the Self. Current Opinion in Psychology.

Ulteriori riferimenti

Paul Nicklen è un fotografo del National Geographic da sempre attivo per sensibilizzare alla conservazione delle specie a rischio di estinzione e al cambiamento climatico. In questo video racconta la sua esperienza al Polo Nord dove i ghiacciai e la fauna stanno lentamente scomparendo. Potete ammirare il suo lavoro su https://paulnicklen.com/ . Per chi fosse interessato, è anche l’autore della copertina dell’ultimo album dei Pearl Jam “Gigaton” (Monkeywrench, 2020), che ritrae un enorme ghiacciaio che si spezza. Il gigatone, un miliardo di tonnellate, è l’unità di misura usata in climatologia per indicare l’energia che sprigiona un ghiacciaio quando cade nell’oceano. Potete ascoltarlo qui: https://open.spotify.com/album/0EewHRl3pc0R5pBxTAexVm?autoplay=true

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