17 maggio. Giornata internazionale contro l’omofobia, la bifobia e la transfobia.
“Ma siamo nel 2021! Che problemi vuoi che ci siano a fare coming out per una persona gay?” “Ormai le persone LGBT non hanno più problemi di discriminazione come una volta”: top ten frasi qualunquiste dei nuovi anni venti; e alcune tra le affermazioni che più mi fanno arrabbiare.
Ma soffermiamoci su queste parole; cosa dicono davvero?
Se da un lato possiamo dire che sia vero che le discriminazioni cosiddette overt (cioè esplicite) siano diminuite, possiamo davvero dirci tutti immuni da pregiudizi? Il fatto che non andiamo più in giro, o meglio, andiamo meno in giro a urlare “finocchio!” (se non di peggio) a un ragazzo che osa esprimere qualche tratto di femminilità ci rende davvero delle persone inclusive? Siamo assolutamente non omofobi perchè non urleremmo mai insulti a una coppia lesbica che si bacia? Davvero riteniamo di non avere colpe, noi che ci esimiamo dall’insultare apertamente e annoveriamo nella nostra cerchia di amici il ragazzo gay?
In questa giornata contro l’omofobia, bifobia e transfobia tengo molto a proporre una riflessione che va oltre i soliti dati sulle discriminazioni e sulla violenza subita dalle persone LGBT+; dati certamente importanti, dati fondamentali e allarmanti, specialmente per quanto riguarda le persone transgender e intersessuali; ma sui quali, in questo articolo, non mi voglio soffermare.
(Per una fotografia della situazione di violenza e discriminazione in Italia ed Europa, vi rimando alla più grande raccolta dati degli ultimi anni fatta dall’European Association for Fundamental Rights (al link: https://fra.europa.eu/sites/default/files/fra_uploads/fra-2020-lgbti-equality-1_en.pdf))
Oggi invece, mi rivolgo a tutti coloro che non si spingerebbero mai a insultare qualcuno per la sua identità sessuale o di genere; che non taglierebbero mai le gomme dell’auto di una ragazza in virtù del suo orientamento sessuale; che non aggredirebbero mai una persona trans sulla strada (vedi sotto il link alle notizie). Mi rivolgo a tutti i “non omofobi” e chiedo di fare un grande sforzo:
Pensate a quando vi tagliate le dita con la carta, è fastidioso e brucia, ma sembra passare subito. Pensate ora di tagliarvi le dita con la carta quotidianamente, a volte anche più volte al giorno; non si tratta di una ferita inferta con un pugnale ma di tanti piccoli insignificanti tagli fatti con la carta. Alla lunga, le mani bruciano. Anche solo un gesto come il semplice lavarle con il sapone potrà risultare fastidioso.
Questi “piccoli tagli” si chiamano microaggressioni. Le persone LGBT+, come molti altri gruppi marginalizzati, ne subiscono tutti i giorni. Sono definite come “brevi e comuni umiliazioni quotidiane verbali, comportamentali, o ambientali, sia intenzionali che non intenzionali, che comunicano offese e insulti con ostilità e disprezzo verso una persona o un gruppo per la sua etnia, genere, orientamento sessuale o religione.” (Sue et al., 2007)
Pensiamo di essere, ad esempio, un giovane ragazzo trans. La mattina si sveglia per andare a scuola, la madre sovrappensiero lo chiama al femminile (primo taglio con la carta). Sull’autobus un gruppo di ragazzi lo fissa insistentemente, ridacchia e poi gli chiede “Ma sei un maschio o una femmina?” (secondo taglio). Arriva a scuola, deve andare in bagno ma in quale bagno deciderà di andare? In quello delle ragazze, dove gli diranno che va solo perchè è un guardone o in quello dei ragazzi, dove magari sarà preso in giro perchè non è un “vero uomo”? (terzo taglio).
E questa sofferenza si ripete; ancora e ancora. Finchè “lavarsi le mani col sapone” non sarà insopportabile.
Ora pensiamo di essere una ragazza bisessuale; di volere fare coming out con l’amica storica conosciuta all’università. Pensate però, la riposta di quest’amica è: “Quindi ora sei lesbica?” (prima microaggressione). La ragazza torna a casa e si lamenta con suo fratello che, con le migliori intenzioni, le dice: “Eh ma, cosa vuoi, che tutti possano capirti? La maggior parte delle persone non sa che cosa sia la bisessualità, pensano sia più una fase di passaggio” (seconda microaggressione).
La ragazza apre poi il suo profilo instagram, dove di recente a ha ri-postato un’infografica sulla bisessualità. Un vecchio compagno delle medie le scrive dopo molti anni, chiedendole se ora che è bisessuale fa “le cose a tre”. (terza microaggressione).
Sicuramente le situazioni e le interazioni saranno mille ancora e diverse; ma la natura dei tagli, delle microaggressioni, è sempre la stessa. Micro-interazioni negative, di cui spesso l’interlocutore è inconsapevole, anzi, pensa di fare bene, di fare un complimento o di sollevare da un peso l’altra persona. Quelle che ho riportato negli esempi hanno l’effetto, a diversi livelli, di invalidare l’identità sessuale o di genere della persona LGBT+, svalutarla, sessualizzarla, sminuirne le emozioni e sensazioni a fronte dell’ennesima situazione negativa.
Le microaggressioni sono quotidiane nella vita della persona LGBT+ e hanno un effetto cumulativo ed estenuante. Le fanno continuamente ricordare che c’è qualcosa di diverso in loro, e che la società che le circonda guarda a questa diversità con sospetto, svalutazione o disgusto.
Ogni volta la persona LGBT+ si trova davanti alla scelta se rispondere alla microaggressione e aprire una discussione, oppure lasciare correre e aspettare la prossima.
La fatica cognitiva deriva anche dal dover costantemente essere vigili e in allerta negli ambienti sociali, per capire se questi saranno ostili o meno.
La ricerca ha dimostrato che l’effetto cumulativo delle microaggressioni impatta la salute in termini di depressione, ansia, uso di alcol e sostanze e disturbi alimentari. Peggiora anche l’autostima, il successo accademico, e favorisce una visione del mondo più negativa. Queste hanno anche effetti a livello somatico: dolore, affaticamento, funzionamento fisico e percezione generale dello stato di salute.
Questo risulta amplificato per le persone trans per le quali spesso è l’ambiente fortemente binario istituzionalizzato a rendere più difficile muoversi nel mondo. Pensiamo appunto ai servizi igienici, all’utilizzo degli spogliatoi in palestra, alla fila ai seggi per votare, ai documenti identificativi.
Nel nostro piccolo, noi persone “non omofobe” potremmo essere più sensibili e attenti alle persone LGBT+ intorno a noi. Attenti a non essere noi dei taglienti fogli di carta; e se lo saremo, perchè può succedere, perchè siamo umani, perchè possiamo essere sovrappensiero, possiamo non avere l’intenzione di ferire, riconosciamo il nostro errore. Non nascondiamoci dietro una serie di giustificazioni; e soprattutto, “ma io ho tanti amici gay” non vale come scusa.
Il mondo e le regole sociali cambiano in continuazione. Saremo noi a decidere cosa sarà socialmente accettabile dire o meno in futuro; a quali battute sarà lecito ridere; quale sarà il linguaggio più adatto da utilizzare.
Oggi, volevo ricordarvi che abbiamo questo potere. Sta a tutti noi scegliere se accettare che alcune persone portino sulle spalle un peso maggiore, anche in termini di salute mentale e fisica, con il rischio di gravi conseguenze negative, perchè “ora non si può più dire niente”.
Non pensiamo a quante parole “non ci è permesso” dire. Pensiamo di quante piccole subdole sofferenze solleveremmo gli altri scegliendo di non dirle.
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