Oltre il confine dello specchio

Articolo a cura di Giorgia Tosi,
Psicologa e Assegnista di ricerca in Psicologia Generale presso l’Università del Salento.
Nei suoi studi si occupa di rappresentazione corporea e decadimento cognitivo.

A seguito di amputazione di un arto, nel 60% – 90% dei casi si sviluppa una percezione, talvolta dolorosa, della parte del corpo che è stata amputata; tale disturbo prende il nome di sindrome da arto fantasma. Di cosa stiamo parlando? Ve lo racconto qui.

Dobbiamo anzitutto fare una distinzione tra diversi fenomeni che possono seguire l’amputazione:

  • Dolore da arto fantasma: sensazioni dolorose riferite all’arto mancante.
  • Percezione dell’arto fantasma: qualsiasi sensazione non dolorosa riferita all’arto.
  • Dolore al moncone: sensazioni dolorose localizzate nella parte dell’arto rimanente.

Queste conseguenze possono presentarsi singolarmente o in associazione.
Solitamente l’arto mancante è percepito in una posizione di riposo; talvolta però i pazienti riportano di poterlo muovere volontariamente. Inoltre, l’arto può essere percepito con le stesse caratteristiche che aveva prima dell’intervento, ma non è rara la sensazione che si accorci progressivamente: fenomeno chiamato telescoping. Nei casi di sensazioni dolorifiche, il dolore non è quasi mai continuativo ma si presenta sotto forma di attacchi, che si possono manifestare a intervalli variabili. Le sensazioni riportate dai pazienti sono solitamente di bruciore, pressione, crampi e si localizzano principalmente nelle parti più periferiche dell’arto mancante.

Quali sono le cause di questo disturbo?
Nel cervello sono presenti rappresentazioni corporee che ci aiutano a localizzare il nostro corpo e gli stimoli con cui interagiamo nello spazio esterno; gli stimoli cutanei provenienti da una parte del corpo arrivano al cervello nell’area corrispondente.
A seguito di un’amputazione, venendo meno gli input di quella regione del corpo, non giungono più stimoli nella zona del cervello corrispondente. Col tempo le aree rimaste senza stimolazione vengono “invase” da quelle adiacenti e cominciano a rispondere per esse, creando un conflitto tra aree cerebrali. Si crea inoltre un conflitto dovuto alla percezione dell’arto fantasma contrapposta all’assenza di visione dello stesso (Ramachandran & Hirstein, 1998).
L’assenza di feedback visivo è alla base anche di un altro conflitto: i comandi motori all’arto fantasma non vengono inibiti poiché manca la percezione di verifica dell’avvenuto movimento (Harris, 1999).

Come si cura una parte del corpo che non esiste più?
Si ricorre ad un’illusione in grado di “resuscitare” l’arto: la mirror therapy.
Alla base di questa terapia, c’è l’idea che la rappresentazione dell’arto a livello cerebrale possa essere ricreata grazie al feedback visivo di un suo movimento. Quest’obiettivo viene raggiunto con l’ausilio di una scatola, sul cui lato viene apposto uno specchio, che prende il nome di mirror box. La scatola viene posta con il lato cavo diretto verso il paziente e lo specchio in verticale rivolto verso il braccio sano. Ai pazienti viene chiesto di porre l’arto fantasma all’interno della scatola e l’arto sano di fronte allo specchio, così che il riflesso dell’arto sano si sovrapponga visivamente alla percezione dell’arto fantasma. La terapia consiste nel far eseguire ai pazienti dei movimenti con entrambe le braccia, così che i soggetti abbiano la percezione e la visione del movimento del braccio amputato. Questa terapia si è dimostrata efficace nel ridurre il dolore da arto fantasma (Ramachandran & Rogers-Ramachandran, 1996), ma ha suscitato il dubbio che l’effetto potesse dipendere dalla creazione di un “braccio immaginario”. La capacità di rappresentarsi il movimento dell’arto amputato è effettivamente ritenuta in grado di influenzare la sindrome. Esiste infatti la terapia della mental imagery, che consiste nel trovare uno stato di rilassamento totale in cui immaginare sensazioni e movimenti dell’arto fantasma (Flor, Nikolajsen & Jensen, 2006).

Può uno specchio porre fine ai conflitti tra aree cerebrali?
Nel 2007 Chan e collaboratori misero a confronto la tecnica della mental imagery con la mirror therapy e con una sua variante con lo specchio oscurato. Diciotto soggetti amputati furono suddivisi in tre gruppi di studio: ad un gruppo fu chiesto di muovere l’arto amputato guardando nello specchio il movimento di quello sano; al secondo gruppo fu chiesto di muovere entrambi gli arti, ma con lo specchio coperto; e il terzo gruppo fu addestrato a visualizzare mentalmente un movimento dell’arto amputato. Fu chiesto a tutti i pazienti di ripetere la terapia tutti i giorni per quindici minuti e di annotare, oltre al numero e alla durata degli episodi dolorosi, anche la loro intensità. Dopo quattro settimane, in quattro dei sei soggetti sottoposti alla mirror therapy si ridusse il numero e la durata degli attacchi di dolore, ma soprattutto la loro intensità. Risultati diversi furono riscontrati negli altri due gruppi: con lo specchio coperto un solo paziente riportò una diminuzione della sofferenza, mentre tre ne avvertirono un aumento; la visualizzazione mentale garantì un miglioramento a soli due soggetti e un peggioramento a quattro.
Questo esperimento dimostrò come lo specchio possa aiutare ad alleviare la sofferenza da arto fantasma, indipendentemente dalla sua rappresentazione immaginaria.

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