A cura di Chiara Filipponi
Psicologa e Dottoranda presso l’Istituto Europeo di Oncologia, Milano.
I suoi studi si concentrano sul benessere psicologico, preferenze, processi decisionali e dolore in oncologia.
Sei un professionista che lavora con un’utenza bisognosa e sofferente? O semplicemente sei una persona interessata a comprendere le conseguenze e i fattori psicologici che potrebbero ridurre lo stress di chi svolge una professione d’aiuto?
Questo articolo potrebbe fare al caso tuo. Buona lettura.
Cos’è l’affaticamento da compassione?
L’affaticamento da compassione (o «Compassion Fatigue») è stato definito come il «costo della cura», ossia uno stato di estremo affaticamento preoccupazione e tensione che, chi svolge una professione di aiuto, può provare a causa dell’incapacità di gestire in modo efficace e adeguato il coinvolgimento empatico con un’utenza sofferente (Boyle, 2015; Joinson, 1992).
Come sottolineato da Figley (Figley, 1995), infatti, la risposta all’esposizione a un evento traumatico si inserisce in un continuum che va da un estremo positivo, di soddisfazione lavorativa per l’aiuto fornito; a un estremo negativo, di esaurimento e traumatizzazione secondaria qualora la lunga esposizione alla sofferenza e le emozioni ad essa correlate (es., ansia, paura, dolore, ecc.) non vengano gestite in modo adeguato.
Si stima che circa dal 7 all’86% degli operatori che svolgono una professione di aiuto siano a rischio di sviluppare affaticamento da compassione (Cavanagh et al., 2020; Van Mol et al., 2015).
Un dato particolarmente allarmante, insieme ai numerosi studi (Cocker & Joss, 2016; Dasan, Gohil, Cornelius, & Taylor, 2015; Nolte, Downing, Temane, & Hastings-Tolsma, 2017) che dimostrano i suoi effetti nocivi sulla salute e qualità di vita generale per chi ogni giorno si confronta con il trauma e la sofferenza.
Non solo; questa condizione stressante basata sull’empatia può avere un impatto negativo sia sulla qualità delle cure fornite agli utenti, espressa in termini di maggiore irritabilità, meno compassione nell’assistenza, errori medici, e piani di pensionamento anticipato (Dasan et al., 2015) sia sul processo decisionale etico e clinico (Potter, Pion, & Gentry, 2015; Van Mol et al., 2015). Rispetto a quest’ultimo punto, è stato dimostrato infatti che gli individui che presentano alti livelli di stress acuto e/o cronico tenderebbero a prendere decisioni in modo veloce (automatico) impegnandosi di conseguenza in decisioni più povere e altamente rischiose (Porcelli & Delgado, 2009, 2017; van den Bos, Harteveld, & Stoop, 2009).
Un aspetto quindi da non sottovalutare se pensiamo che a rischio per il proprio benessere psico-fisico non sono solo gli operatori che svolgono una professione di aiuto, ma anche e soprattutto l’utenza verso la quale l’aiuto viene rivolto.
Nonostante tali evidenze però, è bene sottolineare che non tutti gli operatori che svolgono una professione di aiuto sono a rischio di andare incontro all’affaticamento da compassione.
Perché? E quali fattori potrebbero aiutarci a combattere l’affaticamento da compassione?
Da una rapida indagine della letteratura emergerebbero due fattori cruciali: da un lato, l’intelligenza emotiva, definita come la capacità auto-percepita di riconoscere, valutare e gestire le proprie e altrui emozioni (Goleman, 1995); dall’altro, gli stili decisionali (massimizzante vs soddisfacente) che si tendono ad adottare quando effettuiamo una scelta (Schwartz et al., 2002).
Gli operatori sanitari che presentano alti livelli di intelligenza emotiva sarebbero in grado non solo di riconoscere, comprendere e gestire le proprie emozioni (es. rabbia, ostilità, dolore, ecc.), ma anche e soprattutto quelle altrui (Kozlowski, Hutchinson, Hurley, Rowley, & Sutherland, 2017). Pertanto, in una condizione altamente stressante come l’esposizione al trauma vissuto da un’utenza bisognosa, l’intelligenza emotiva è un potente alleato contro l’affaticamento da compassione (Amir, Betty, & Kenneth, 2019; Beauvais, Andreychik, & Henkel, 2017) in quanto garante non solo di una stabilità emotiva, ma anche e soprattutto della capacità di reagire, elaborare e comunicare i propri stati di sofferenza non lasciandoli inesplorati o nascosti.
A dimostrazione di ciò, diversi studi riportano come tale capacità sia fondamentale non solo perché migliora il processo di trattamento e cura, ma anche perché garanzia di una comunicazione efficace e chiara (Faguy, 2012; Nightingale, Spiby, Sheen, & Slade, 2018) e di un adeguato processo decisionale clinico (Kozlowski et al., 2017).
In particolare, gli studi di Foster (Foster, 2016) riportano come gli individui emotivamente intelligenti siano in grado di gestire e soppesare meglio le alternative di scelta, ricercando l’opzione non ottimale ma abbastanza buona, ossia adottando una tendenza alla decisione soddisfacente. Quest’ultima proteggerebbe gli individui dai sentimenti di colpa e rimpianto e dal conflitto decisionale, portando ad un maggior grado di soddisfazione e adattamento rispetto alla scelta presa (Schwartz, 2004; Schwartz et al., 2002).
Concludo con questa citazione:
“Attraverso le scelte. Siamo noi gli artefici del nostro destino”
Maicol Cortesi
Scegliete consapevolmente e per il vostro e altrui benessere.
La conoscenza è il punto di partenza per una scelta consapevole.
Bibliografia:
Amir, K., Betty, A., & Kenneth, A. M. (2019). Emotional Intelligence as Predictor of Compassion Fatigue among Mental Health Practitioners. Open Access Library Journal, 06, e5410. https://doi.org/10.4236/oalib.1105410
Beauvais, A., Andreychik, M., & Henkel, L. A. (2017). The role of emotional intelligence and empathy in compassionate nursing care. Mindfulness & Compassion, 2(2), 92–100. https://doi.org/10.1016/j.mincom.2017.09.001
Boyle, D. A. (2015). Compassion fatigue. Nursing, 45(7), 48–51. https://doi.org/10.1097/01.NURSE.0000461857.48809.a1
Cavanagh, N., Cockett, G., Heinrich, C., Doig, L., Fiest, K., Guichon, J. R., … Doig, C. J. (2020). Compassion fatigue in healthcare providers: A systematic review and meta-analysis. Nursing Ethics, 27(3), 639–665. https://doi.org/10.1177/0969733019889400
Cocker, F., & Joss, N. (2016). Compassion Fatigue among Healthcare, Emergency and Community Service Workers: A Systematic Review. International Journal of Environmental Research and Public Health, 13(6), 618. https://doi.org/10.3390/ijerph13060618
Dasan, S., Gohil, P., Cornelius, V., & Taylor, C. (2015). Prevalence, causes and consequences of compassion satisfaction and compassion fatigue in emergency care: A mixed-methods study of UK NHS Consultants. Emergency Medicine Journal, 32(8), 588–594. https://doi.org/10.1136/emermed-2014-203671
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Potter, P., Pion, S., & Gentry, J. E. (2015). Compassion Fatigue Resiliency Training: The Experience of Facilitators. The Journal of Continuing Education in Nursing, 46(2), 83–88. https://doi.org/10.3928/00220124-20151217-03
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Van Mol, M. M. C., Kompanje, E. J. O., Benoit, D. D., Bakker, J., Nijkamp, M. D., & Seedat, S. (2015). The prevalence of compassion fatigue and burnout among healthcare professionals in intensive care units: A systematic review. PLoS ONE, 10(8), 1–22. https://doi.org/10.1371/journal.pone.0136955